Una decina di anni fa ebbi l’incarico di tradurre in italiano “La moglie del diplomatico” di Pam Jenoff, un’autrice allora appena lanciata dal suo primo romanzo “La ragazza di Cracovia”.
Titolo originale, “la ragazza del Comandante”, una giovane ebrea che sotto mentite spoglie si trova a lavorare per un ufficiale nazista e suo malgrado non è indifferente alle avances dell’uomo.
Nel secondo romanzo ritroviamo Marta, la ragazza che ha aiutato Emma a fuggire a prezzo della propria libertà.
Proprio nella prima scena viene liberata dalla sua cella da un gruppo di avieri americani e inviata in un convalescenziario dove fa amicizia con Rose, altra giovanissima reduce da un campo di concentramento, che però muore.
Con l’aiuto di un’infermiera, Marta riesce a partire per l’Inghilterra utilizzando il lasciapassare di Rose, durante il viaggio ritrova brevemente il “suo” aviatore con cui vive una brevissima e intensa storia d’amore, “l’ora più dolce prima d’essere ammazzato” come nella famosa canzone di Lucio Dalla.
Giunge infine a Londra, e qui un’altra scena toccante è quando, sola, sfinita e priva di mezzi, si ripara per dormire sotto il colonnato di una chiesa e la mattina il sacrestano non la caccia e nemmeno sembra sorpreso di vederla, dati i tempi difficilissimi.
La guerra è appena finita, Marta grazie alle sue credenziali trova lavoro come dattilografa e conosce un diplomatico inglese ebreo, il signor Gold, che sposa nel giro di poche settimane, col tempismo necessario.
L’unica notte d’amore con l’aviatore, poi abbattuto nei cieli di Francia con tutta la sua compagnia, ha avuto come frutto una bimba, che viene chiamata Rachel in omaggio a Rose e alla suocera Rivka.
Non si capisce se il marito sia ignaro oppure finga di non sapere, dato che “tenere famiglia” è utile alla sua carriera.
Ma la serena metodica vita di Marta – una casetta dignitosa, il sesso senza trasporti programmato una volta la settimana, la sinagoga una volta al mese – non è quello che sembra, come uno specchio pronto ad andare in mille pezzi per svelare una realtà del tutto diversa e drammatica.
Si riaffaccerà qualcuno dal suo passato, per portarle via ciò che più ama al mondo.
Una storia appassionante che attraversa l’Europa sconfinando dalla Seconda Guerra Mondiale alla rivalità postbellica tra i due blocchi USA-URSS.
Da allora sono sbocciati molti nuovi romanzi, praticamente tutti sul periodo nazista e sulla Seconda Guerra Mondiale, documentatissimi e vivi; storie che ti prendono alla gola e che non riesci ad abbandonare.
Abbiamo “La figlia dell’ambasciatore”, “La ragazza con la stella blu”, “Le ragazze di Parigi” e tanti altri, a cadenza di uno o due anni.
Ho appena letto “La ragazza della neve” (titolo originale “The orphan’s tale”) per cui la Jenoff ha unito spunti di vicende reali e fantasia, creando due coprotagoniste che si alternano narrando in prima persona.
La storia inizia con una lucida novantenne che fugge dalla casa di riposo per andare a vedere una mostra sui circhi nel periodo bellico: è in cerca di risposte sul proprio e l’altrui passato.
Poi si va a ritroso di cinquant’anni e conosciamo Noa e Astrid. Noa è un’ingenua sedicenne olandese che, rimasta incinta di un ufficialetto tedesco, viene cacciata di casa; il bambino le viene portato via per farlo adottare da una famiglia ariana (sono i famosi Figli del Reich), lei si guadagna da vivere come donna delle pulizie in una stazioncina di provincia quando scopre un treno pieno di bambini piccoli strappati alle famiglie e inviati nei lager.
In una scena straziante, Noa vede tra i corpicini già vinti dalla fame e dal freddo un bimbo vivo e vitale, dagli occhi scuri come il suo… lo “ruba” e fugge nella notte, nella neve.
Viene soccorsa dal proprietario di un circo viaggiante che l’affida ad Astrid, la sua migliore acrobata aerea, perché ne faccia una trapezista.
Astrid ha un pesante segreto: è un’ebrea sotto falso nome, apparteneva a un’altra famiglia circense che aveva lasciato per sposare un tedesco, poi costretto a ripudiarla dalle leggi razziali;
la famiglia d’origine è stata sterminata e l’unico affetto per Astrid è un malinconico clown di origine russa, che malgrado il rischio non rinuncia nei suoi numeri a farsi beffe del regime.
Le due donne, dapprima ostili, poi amiche solidali, alleveranno insieme il bambino ebreo “rubato”, ma nella Francia occupata dai nazisti la tragedia incombe e fin quasi all’ultima pagina non sappiamo quale delle due sopravviverà per crescere anche il figlio dell’altra.
Entrambi i bambini diventeranno medici, un tranquillo medico condotto e un giramondo di Medici senza Frontiere, e la mamma novantenne troverà infine alcune delle risposte che cercava.
Una storia che tocca il cuore ma anche la fantasia specialmente per chi è innamorato del mondo dello spettacolo, e ambientazioni nei carrozzoni e nel treno circense sono inedite e di grande atmosfera, come vivi sono i personaggi che ci vivono o ci ruotano attorno.
Un’autrice da conoscere.
Pam Jenoff, nata nel Maryland e cresciuta presso Philadelphia, ha frequentato la George Washington University a Washington, per poi conseguire un master in storia a Cambridge.
Dopo un’esperienza al Pentagono, e poi al Dipartimento di Stato, è stata assegnata al Consolato USA a Cracovia, in Polonia, dove ha avuto modo di approfondire la conoscenza delle relazioni polacco-ebraiche e dell’Olocausto.
Lavorando su questioni come la conservazione di Auschwitz e la restituzione delle proprietà ebraiche in Polonia, ha sviluppato stretti rapporti con la comunità ebraica sopravvissuta.
Ha lasciato il Servizio Estero nel 1998 per frequentare la facoltà di legge laureandosi all’Università della Pennsylvania. Ha lavorato per anni come avvocato del lavoro e insegnato alla scuola di legge di Rutgers.